Leone d'Oro e Oscar alla carriera, Akira Kurosawa (Giappone, 1910 - 1998) è il più grande cineasta giapponese; fa parte di quel pugno di registi eccezionali la cui influenza è sentita in tutto il cinema mondiale. Personaggio di grande cultura (sia orientale che occidentale), esperto di teatro e in particolare di Shakespeare, discendente da un'antica famiglia di samurai, pittore di pregio ma anche ex campione di kendo e appassionato di golf; soprannominato in patria "l'Imperatore", ciò che colpisce di Kurosawa è l'enorme varietà dei suoi lavori: pochi registi hanno saputo spaziare da un genere all'altro con altrettanto virtuosismo.
Tecnicamente è tra i primi ad impiegare sul set due o più cineprese contemporaneamente in modo da produrre maggior materiale per il montaggio e creare minore imbarazzo agli attori (con diversi punti di ripresa è impossibile mettersi in posa), inoltre usa spesso il teleobiettivo. Reputa fondamentale il pieno controllo sulla sceneggiatura e la necessità di lasciare una porta aperta al caso durante i ciak. Possiede un grande senso musicale ed un'invidiabile padronanza del montaggio che realizza sempre personalmente e senza aspettare la fine delle riprese; si rivela maniaco come pochissimi delle scenografie e degli ambienti. Nel 1943 dirige il suo primo film "Shanshiro Sugata", una favola sulle origini dello judo. Nelle successive cinque pellicole, per colpa della censura (siamo in tempo di guerra), Kurosawa non può esprimersi liberamente. Finalmente nel'48 con "L'angelo ubriaco" confeziona il primo capolavoro del cinema giapponese del dopoguerra senza condizionamenti da parte delle autorità. L'anno successivo con "Cane randagio" si conferma riservandosi un posto di primissimo piano, ma solo nel 1951 si rivela al grande pubblico con "Rashômon", Leone d'Oro a Venezia ed Oscar ad Hollywood (mica poco!); il film racconta di un omicidio attraverso cinque versioni diverse. Poi è la volta di "Vivere" (Orso d'Argento a Berlino) definito più volte come uno dei più bei film del nostro tempo: è il viaggio interiore di un uomo che dopo una vita di fallimenti si ritrova condannato a morte dal cancro. Nel 1954 con "I sette samurai" (Leone d'Argento a Venezia), il cinema giapponese riscuote nuovamente un enorme ed inaspettato successo in tutto il mondo: è un capolavoro epico dalla durata di tre ore e venti. Sostenne allora Michelangelo Antonioni:"Ogni immagine di questo film reca l'impronta di un genio".
Nel'57 per "I bassifondi" ha filmato in presa diretta, come se fosse una rappresentazione teatrale, dopo quaranta giorni di prove. "La sfida del samurai", del'61, si ricorda per un aneddoto che lo lega al suo remake "Per un pugno di dollari": Sergio Leone non pagò neanche una lira di diritti ai produttori giapponesi pensando che il suo western non ottenesse nessun successo. Ma così non fu e i produttori di Kurosawa riuscirono a far condannare la pellicola per plagio. Di conseguenza i produttori di Leone per ripicca, si impegnarono affinché il film giapponese sparisse dalle nostre sale. È il 1965 quando il perfezionismo del regista supera l'immaginabile; infatti per "Barbarossa" ha previsto un intermezzo musicale tra i due tempi. Alla fine degli anni sessanta, il tentativo di farsi produrre dagli americani fallisce miseramente: in un primo progetto pretende di farsi raggiungere da tutta la sua équipe tecnica giapponese, per un altro film invece ("Tora! Tora!") viene licenziato dopo pochi giorni dal produttore che lo accusa di essere pazzo. Nel 1975 è la volta di"Dersu Uzala" (ancora Premio Oscar), un magnifico film d'avventura... inverosibilmente originale, girato tutto in Siberia. Per il successivo "Kagemusha" (Palma d'Oro a Cannes), filma una battaglia in modo magistrale ed originale, soprattutto l'inizio e la fine della stessa, con un incredibile gioco di effetti sonori e una stupefacente inquadratura immobile che dura sette minuti!
"Ran" (1985) è uno dei più bei film degli anni ottanta: incredibile l'uso dei colori e del suono, la storia è una trasposizione del Re Lear di Shakespeare; Kurosawa crea una forma espressiva "visionaria" eccezionale come nei quindici minuti deliranti durante l'assalto al castello. Con dieci milioni di dollari come budget è il film più costoso del cinema giapponese, 2000 comparse per le scene di battaglia, 250 cavalli, 1400 armature, 4 nomination ad Hollywood, Oscar per i costumi. Nel'90 "Sogni", la pellicola più onirica: cinque anni per l'intero progetto e due per la lavorazione per concepire un'opera in otto episodi. Nella produzione e negli effetti speciali c'è la mano del gota di Hollywood: Spielberg, Coppola e Lucas. Nel 1991 è la volta di "Rapsodia d'agosto" applaudito nella sala grande di Cannes per dodoci minuti. Per ultimo "Il compleanno" (1993), un inno all'amicizia. Akira Kurosawa, profondamente stimato da i suoi colleghi, è ormai divenuto il padre dell'espressività del cinema nella sua interezza. Il suo lavoro è tessuto sui contrasti e sugli estremi; a detta di egli stesso un film deve soprattutto emozionare e creare una simpatia.
Filmografia consigliata:
Kurosawa ha diretto fino ad oggi trenta film. Se ne consiglia la visione di sette, non necessariamente i migliori, ma gli unici stampati in home video.
"Rashômon", 1950, b/n;
"I sette samurai", 1954, b/n;
"Dersu Uzala, il piccolo uomo delle pianure", 1975;
"Kagemusha, l'ombra del guerriero", 1980;
"Ran", 1985;
"Sogni", 1990;
"Rapsodia d'agosto", 1991.