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SUBACQUEA: tecnologia per un sogno!
di Gabriele La Rovere



La prima volta che si respira con un erogatore, anche soltanto un centimetro sotto il pelo dell'acqua, è come nascere di nuovo... si, ma per una vita diversa, incredibile e densa di emozioni... quasi irreale. Chi da diverso tempo non torna sott'acqua... sembra quasi non ci sia mai andato, tant'é un'esperienza fantastica... contro natura.

Bandita quindi l'apnea finalizzata all'agonismo, alla pesca e riservata ad atleti con polmoni d'acciaio, l'uso della tecnologia diventa indispensabile; l'autorespiratore ad aria (ARA), è composto dal Gav (giubbotto ad assetto variabile: collega un pò tutta l'attrezzatura e ci permette di "galleggiare" sott'acqua), la bombola d'acciaio (caricata con aria compressa), l'erogatore (consente di respirare aria immersi in un liquido per molto tempo, fino a ragguardevoli profondità senza sforzo alcuno e soprattutto in condizioni fisiologiche pressoché normali) e la strumentazione (il manometro, il profondimetro, e l'orologio).

La prima volta che si vede tutta questa ferraglia viene da pensare tanto all'astronautica; con un pò di dimestichezza, successivamente, l'ARA diventa di uso istintivo ed automatico come il freno a mano e la frizione dell'auto, li si usa pensando a tutt'altre cose! Per immergersi non bisogna saper nuotare (è comunque preferibile), perché... non c'è bisogno di restare a galla! Inoltre sott'acqua si prova una solitudine ed una rilassatezza, che forse è comune solo alla speleologia esplorativa; infatti, la contemplazione dell'affascinante spettacolo delle profondità degli abissi, il blu, non è il solo elemento significativo. Nella subacquea è presente una componente filosofica che ne è il vero motore; è la ricerca dell'inusitato che ci fa tendere verso la trascendenza. Questo atteggiamento, questo modo inconsueto di vivere lo sport, in gergo viene chiamato "Fattore Ulisse".

Il desiderio di frugare negli abissi è ancestrale; per secoli l'uomo, con caparbia ostinazione, ha sognato di scendere ad esplorare il mondo sottomarino; allora uniformarsi alle regole del mare è un inquietudine che si perde nella notte dei tempi. Alcuni bassorilievi assiri del 900 a.C. raffigurano uomini nuotare sott'acqua respirando da otri in pelle indossati sul petto. Lo straordinario Alessandro Magno utilizzava pescatori (apneisti) di ostriche e spugne come incursori già nel 300 a.C. per abbattere i pali difensivi subacquei piantati dai nemici e lo stesso Alessandro, narra il mito, controllava le operazioni facendosi calare in mare all'interno di una "bottisfera" di vetro!

Dopo un millennio la leggenda è ormai storia: nel 1690 è stata costruita la prima campana, che, collegata ad un tubo con l'esterno, ha permesso a cinque persone di rimanere immersi per un'ora e un quarto ad oltre sedici metri di profondità; nel 1689 è la volta della pompa ad aria per palombari, realizzata, però, soltanto il secolo successivo. Solo nel 1865 è stata sperimentata la prima forma di ARA, l'Aeroforo; è la svolta che ha permesso poi, nel 1943, a Jacques-Yves Costeau e Emil Gagnan d'inventare l'autorespiratore ad aria completamente automatico da cui è derivato l'equipaggiamento tutt'oggi in uso al comune uomo, e non al solito Ulisse del caso (l'eroe!). La subacquea, diventata scienza quindi, ha sviluppato ed imposto, attraverso la didattica delle scuole, un metodo che limitasse al minimo i pericoli. Il primo studio che tiene conto della fisica e della fisiologia è del 1679; risolti successivamente, seppur molto lentamente negli anni, i problemi di natura tecnica ed organica, si è affrontato il lato psichico: la stabilità emotiva, ma soprattutto l'autodisciplina, diversa dall'autocontrollo che deve essere sempre in atto, permette a chiunque ne senta il bisogno, di vivere profondamente il mare e di immergersi in completa autonomia motoria ma soprattutto respiratoria. È l'autodisciplina infatti che tiene lontano le prodezze ingiustificate.

Ci si avvia all'immersione subacquea nelle scuole presenti un pò in tutte le città, convinti di affrontare uno sport tecnologico, costoso e pericoloso. Successivamente la comprensibile smania esibizionistico-sportiva viene soppiantata dall'esperienza; peraltro la consuetudine delle immersioni ripetute, induce il sommozzatore ad entrare in uno stato psicologico particolare, appunto, il Fattore Ulisse. Dopo anni di immersioni in compagnia, vissuti con il triplice scopo turismo-amicizia-sport, si raggiunge una maturità tecnica che conduce ad una rilassatezza tale da aprire la mente a nuove emozioni: un nuovo modo di trarre godimento dalla stessa disciplina e dalla solitudine dell'immersione (è il caso particolare della speleosubacquea), in cui tutto sembra alieno: dai "distanti" ma concreti rumori secchi e marcati del proprio respiro, alla certezza di essere partecipe della vita marina e non più intruso o semplice turista. Sensazioni, queste, da vivere soli con il proprio io e che inducono il sommozzatore a considerarsi un animale acquatico e comunque in piena sintonia con l'elemento liquido.

Già, un vero ritorno alle origini attraverso un nuovo percorso emozionale che induce l'uomo ad aspirare a diventare pesce, e senza l'uso dell'ARA. È quello che Kevin Kostner ha cercato di immaginare nel suo incompreso, dai critici ma non dai subacquei, film "Waterworld". Si è sognato per secoli di andare sott'acqua per mezzo della tecnologia; ricordiamo solo la leggendaria figura del capitano Nemo e del suo Nautilus (nel romanzo di Jules Verne "Ventimila leghe sotto i mari". del 1870, si intuiscono certi futuri sviluppi della tecnica tali da renderlo d'interesse scientifico). Oggi è tempo di sognare l'immersione... senza apporto tecnologico!




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